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33,5 x 20,5 cm
Olio su carta, applicata su tela


Scheda opera

Descrizione opera

La Morte della Vergine (da Caravaggio)

Il giudizio critico


Si tratta di una tela di ridotte dimensioni (33,3 x 20,3 cm) dichiaratamente in rapporto con la Morte della Vergine di Caravaggio di cui l’opera qui in esame appare essere, sotto ogni profilo, una derivazione, un bozzetto approntato in vista della preparazione di una copia. Il quadro originale di Caravaggio, oggi al Louvre, è una maestosa tela (cm 369 x 245 – le dimensioni originali erano probabilmente maggiori) commissionata al Caravaggio il 14 giugno 1601 da Laerte Cherubini per la propria cappella nella chiesa di Santa Maria della Scala come testimoniato da un celebre atto documentario: “Michelangelus…de Caravaggio pictor in Urbe…promisit…facere unum quadrum in tela…in quo quidem quadro dipingere similiter mortem sive transitum Beatae Mariae Verginis”.

È altrettanto noto come la Morte della Vergine, realizzato da Caravaggio con notevole ritardo rispetto all’accordo iniziale che dava al pittore un solo anno di tempo per la consegna, sia stata clamorosamente rifiutata dai Carmelitani, l’ordine religioso che officiava la chiesa romana. Alle celebri e ben conosciute fonti storico-artistiche che già denunciavano questa circostanza, vale a dire i testi di Mancini, Baglione, Bellori si aggiunge la notizia contenuta in una lettera del medesimo Giulio Mancini al fratello Deifobo (14 ottobre 1606): “una tavola d’altare dove è la morte della Madonna attorno con gli apostoli, quale andava nella Madonna della Scala di Trastevere, che per essere stata spropositata di lascivia e di decoro, il Frate Scalzo l’ha fatta levare”.

Proprio lo stesso Giulio Mancini provò a comprarla peraltro senza successo e infine anche grazie al diretto intervento di Pieter Paul Rubens, l’opera venne acquistata dal Duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga e quindi trasferita nella città lombarda nell’aprile del 1607. Venduto vent’anni più tardi al re d’Inghilterra Carlo I, il quadro passò in Francia all’epoca della Guerra Civile inglese per entrare infine nelle raccolte reali nel 1671. Da una lettera dell’ambasciatore di Mantova alla corte papale sappiamo che per pochi giorni prima di essere spedita alla corte dei Gonzaga, la tela venne esposta a Roma per una settimana, col divieto assoluto di trarne delle copie.

A parte un disegno acquerellato del giovane Nicolas Poussin, malauguratamente andato distrutto pochi anni fa e una derivazione della figura della sola Maddalena in collezione privata romana, della tela del Caravaggio si conosce una sola copia integrale conservata nel Palazzo Sacchetti di Roma e da me pubblicata nel 2005 con l’attribuzione a Simon Vouet, riferimento accolto dai curatori della recente mostra sugli anni italiani del pittore francese (Simon Vouet – Les années italiennes 1613-1627, Nantes - Besancon 2008-2009). L’attribuzione a Vouet si basa sia su riscontri inventariali – il quadro è citato in tutti gli inventari Sacchetti finora rintracciati e il nome dell’artista compare nella seconda metà del Seicento – sia sulle osservazioni stilistiche confermate dal restauro del 2006, sia infine dalla stretta relazione fra l’artista e Marcello Sacchetti (a farli incontrare era stato probabilmente Graziano dal Pozzo): per lui Simon Vouet esegue una delle più celebri opere del suo soggiorno italiano, l’Allegoria (ovvero Le Facoltà dell’Anima: Intelletto, Volontà, Memoria, oggi nella Pinacoteca Capitolina di Roma; Marcello Sacchetti non disprezzava affatto le copie, come dimostra tra l’altro la presenza nella sua collezione di copie da Raffaello e Tiziano realizzate da Pietro da Cortona.

Il bozzetto qui in esame con intense lumeggiature potrebbe ben essere quello eseguito da Simon Vouet (verosimilmente assieme ad altre opere preparatorie) in vista della copia per il Sacchetti, realizzata probabilmente nella prima metà del secondo decennio del Seicento, dal momento che la fase “caravaggesca” del pittore francese risale almeno al 1617 (data della Buona Ventura di Vouet oggi a Palazzo Barberini).  (Sergio Guarino, 4 gennaio 2010)