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68,5 x 121 cm
Olio su tela


Scheda opera

Descrizione opera

Veduta di Villa Aldobrandini e della chiesa di Ss. Domenico e Sisto, a Roma

Il giudizio critico


La presente “veduta romana” (dipinto olio su tela, 68,5 x 121 cm), incentrato sul largo di Magnanapoli, con a sinistra uno scorcio delle mura di cinta, con il portone, di Villa Aldobrandini, e a destra la chiesa dei Ss. Domenico e Sisto, detta anche di San Sisto Nuovo, ed in mezzo l’inizio di via Panisperna, è una preziosa testimonianza del vedutismo romano, data la sua rarità anche in campo incisorio, anche se realizzata senza un’oggettiva attinenza realistica, con una libera ricostruzione del luogo e dei monumenti. Essa è chiaramente opera di Jacopo Fabris (Venezia 1689 – Copenhagen 1761), alla cui paternità si può risalire dall’analisi delle tipiche figure, di rapida e per certi versi, ingenua definizione, contrassegnate da un’allungata proiezione al suolo delle loro ombre. Una peculiarità che costituisce quasi una firma del pittore che, in un primo tempo attirò l’attenzione di A. Morassi che riunì un gruppo di sue vedute veneziane, sotto la sigla “SCOF” ovverosia “Seguace Canaletto Ombre Forti” basate su una libera ripresa di prototipi del maestro veneziano. Ma il recupero di alcune sue opere firmate ha permesso poi di risalire alla sua paternità e di focalizzarne soddisfacentemente la figura, a partire dall’articolo di A. Mosco, Pittori minori del Settecento Veneto, Jacopo Fabris (Arte illustrata, n. 57, 1974, pp. 83-97). Con questo punto di partenza, il suo catalogo si è presto ampliato con l’acquisizione anche di varie “Vedute romane”: tutte caratterizzate dalle sue abituali eleganti silhouette dei personaggi di libera ispirazione dai vedutisti veneti, unitamente a una trasposizione di matrici incisorie dei luoghi rappresentati – da “Piazza Navona” al “Campidoglio” – di pretto gusto scenografico. Infatti il Fabris si affermò soprattutto nel campo teatrale, continuando però la pratica del vedutista “a distanza”, basandosi sovente, oltre che su stampe, su appunti eseguiti in gioventù , quando probabilmente soggiornò a Roma, agendo soprattutto nell’ambito teatrale, com’era prassi abituale di molti pittori veneziani non affermati, a partire da Canaletto. Dopo questa sua prima formazione veneziana, il Fabris agì prevalentemente come scenografo, con incarichi stabili dal 1719 a Karlsruhe, poi ad Amburgo, Londra e Berlino, ed infine dal 1747 sino alla morte a Copenhagen, dove diresse il teatro della corte danese di Charlottenborg. Di tutta questa intensa attività è rimasta ampia traccia, debitamente raccolta dalla critica sin dal 1930 (Jacopo Fabris. Instruction in der Teatrilische..Copenhagen). Ma anche all’estero egli dovette continuare la sua attività di vedutista, come conferma il suo specifico catalogo, divenuto oramai assai consistente. Nel quale comunque spicca la “Veduta” qui presa in esame, non solo per la sua rarità in assoluta, ma anche per lo spirito e il gusto con cui è impaginata, più vicini a quelli del “Capriccio architettonico” che al vedutismo. Peculiarità per le quali ho intenzione d’includerla nella mia prossima pubblicazione su tale argomento, che spazia dai Codazzi al Panini, dedicando particolare attenzione anche a molti maestri meno noti. (Giancarlo Sestieri, 31 gennaio 2011)